lunedì 25 novembre 2013

Una Parola in Più




Una Parola in Più



Cari lettori, oggi 25 Novembre è la giornata mondiale Onu contro la violenza sulle donne. Prima come essere umano e dopo come giovane ragazza, mi sento in dovere di esprimere la mia opinione a riguardo. Esatto, il termine è proprio “dovere” perché in questa società dove il tasso di femminicidi e stupri, è in continuo incremento, è dovere di tutti fare qualcosa per arrestare queste ingiustizie e denunciarle.

Per quest’oggi nel nostro paese sono state avviate numerose iniziative ed è stata data l’onorificenza di cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica Italiana all’avvocatessa Lucia Annibali, sfregiata per ordine dell’ex compagno da due uomini, con dell’acido. 
Un’altra tragica storia è quella di Modena dove aiutato dal figlio, il padre “punì” a sprangate Nosheen Butt , la figlia che rifiutò il matrimonio combinato. La madre della ragazza Begm Shnez, nel tentativo di difendere la giovane, venne uccisa dal coniuge.

Queste sono però solo poche  delle troppe tragedie che ogni giorno accadono, storie di donne che hanno reagito e combattuto, a volte anche a costo della vita.
Benché in Ottobre il decreto legge contro il femminicidio, sia stato approvato, con solo tre voti contrari e dieci milioni di euro siano stati investiti nel “piano antiviolenza” per azioni di prevenzione ed educazione, questo non è sufficiente.

In altre parti del mondo, ci sono donne che non godono di alcuna tutela e che vengono utilizzate solo per il compiacimento dell’uomo e per generare prole. Basti pensare all’infibulazione praticata tutt’oggi in Africa, nella penisola araba e nel sudest esiatico.
(Si calcola che in Egitto, nonostante la pratica sia vietata, ancora oggi tra l'80% delle donne si stata soggetta all'infibulazione.).
Un'altra realtà è quella di Aisha Ibrahim  Duhulu, processata per adulterio e punita con la lapidazione. L'esecuzione  avvenne nel 2008, in Somalia, eseguita da una cinquantina di uomini davanti migliaia di spettatori.

Numerosi dottori, psicologi e sociologi, cercano di capire cosa possa spingere un compagno o un marito, a compiere tali atrocità nei confronti di un altro essere umano, di come l’amore possa tradursi in possesso e culminare in atti di violenza e crudeltà. 


A mio parere, come le più grandi riforme, il cambiamento per un mondo contro la violenza dovrà e potrà solo sbocciare nelle nostre case. Qundi, con questo articolo “Una parola in più” invito tutti a compiere il primo passo: parlare ed educare al rispetto della vita altrui.
Fatelo per Luisa, Nosheen, Aisha e per tutte le altre donne, madri di questo mondo.